Trieste, dipinti murali raffiguranti le MUSETrieste, dipinti murali raffiguranti le MUSE

LE MUSE
I dipinti murali, raffiguranti sette delle nove muse, sono posti lungo le pareti della sala, racchiusi in una cornice in gesso e misurano m. 1,25 x 3,25. Le Muse raffigurate sono sette di nove e precisamente Talia,EuterpeTersicoreEratoClioCalliope e Melpomene.
LA MITOLOGIA 
Secondo la mitologia le Muse sono figlie di Zeus e Mnemosine (il nome vuol dire memoria e Mnemosine era appunto la personificazione della memoria). Zeus si unì a lei per nove notti consecutive e, da queste unioni, Mnemosine diede alla luce nove figlie ossia le Muse. 
Le Muse (inizialmente in numero variabile) presiedono al pensiero in tutte le sue forme: eloquenza, persuasione, saggezza, storia, matematica, astronomia. In epoca classica si è imposto il numero nove e ciascuna ha ricevuto una determinata funzione: Calliope poesia epica, Polimnia pantomima, Euterpeflauto, Tersicore danza, Erato lirica corale, Melpomene tragedia, Talia commedia, Urania astronomia,Clio storia.

VICENDE STORICHE DEL TEATRINO DI SAN GIOVANNI (di Diana Barillari)                                              

L’edificio teatrale fa parte del nuovo manicomio di Tieste fin dall’origine, lo troviamo infatti nel progetto di Lodovico Braidotti del 1903, posto su un terrazzamento che consente di godere una delle vedute panoramiche della città più intriganti. E di teatro si parla anche nel Programma Medico del 1896 redatto per offrire una guida agli ingegneri e agli architetti che avrebbero partecipato al concorso internazionale bandito dal comune di Trieste l’anno dopo: in questo scritto ricco di notazioni tecniche sono illustrati i concetti ai quali devono attenersi i progettisti e sono gli stessi  ai quali Braidotti si adeguerà nell’ideare il suo piano.

L’obiettivo è quello di costruire un manicomio moderno e a tale scopo viene richiesto di realizzarlo, per quanto possibile aderente alla modalità del sistema della “porta aperta”, un chiaro riferimento alle teorie praticate in Inghilterra e Germania, dove anche gki edifici devono rispondere a un nuovo modo di gestire la malattia mentale, cosicché si diffonde il modello dei padiglioni singoli disposti in un ampio spazio verde ben curato.

L’architettura fa quindi parte di un progetto terapeutico che concepisce la percezione dello spazio come un elemento chiave per la cura, l’obiettivo è quello di offrire ai ricoverati, anche attraverso gli edifici, l’idea che non sono prigionieri ma che abitano un frammento, sia pure artificiale, di città. Si comprende allora la necessità dell’edificio teatrale, un tassello nel progetto di recupero di una visione ordinata e normale, o forse solo la sua parodia.

Per comprendere la funzione dell’edificio bisogna considerare la sua collocazione nell’ambito del complesso del manicomio, il teatro si trova nella zona dei servizi, a fianco sorgono la cucina, la lavanderia l’officina meccanica, precede i padiglioni dei tranquilli e il Villaggio del lavoro che ha come baricentro la chiesa. Inquesta zona si conclude il percorso che inizia a valle con la parte aperta al pubblico e termina con il padiglione di amministrazione dietro al quale inizia il settore “clinico” con gli edifici riservati ai pazienti in cura. Il teatro si trova al confine tra la zona della malattia e quella di una sua risoluzione, assimilato ad una struttura di servizio, altrettanto importante quanto la cucina o la lavanderia. C’è un teatro anche nel nuovo manicomio di Vienna, il celebre Steinhof, realizzato negli stessi anni di quello triestino, tra il 1903 e il 1907 sotto la regia di Otto Wagner, che intervenne direttamente nella costruzione della chiesa e nell’elaborazione della disposizione urbanistica. Vienna e la sua avanzata cultura architettonica sono un riferimento costante per la scena urbana triestina, e se la contemporaneità dei due complessi apre interessanti scenari sulla priorità di alcune scelte, viene comunque confermato che Trieste è città d’avanguardia, con una spiccata attitudine a sperimentare e fare innovazione.

Non è un caso che per gli edifici del manicomio Braidotti impieghi il calcestruzzo armato, infatti vive nella città dove i magazzini di Porto vecchio costituiscono un laboratorio a cielo aperto in quanto a utilizzo di brevetti, così quando nei documenti d’archivio viene riportata la notizia che fu la Pittel & Brausewetter – una delle maggiori imprese di costruzione della Mitteleuropa – a aggiudicarsi il contratto per i lavori in calcestruzzo armato, il fatto non stupisce. In quegli anni infatti la stessa impresa stava realizzando i magazzini del caffè, il numero 2, in porto vecchio e lo stabilimento per lo Jutificio triestino. Già Marco Pozzetto aveva segnalato le ricadute in termini di innovazione sull’edilizia cittadina delle sperimentazioni che si stavano effettuando nelle costruzioni portuali, pertanto la costruzione del manicomio conferma l’intuizione, ma le conferisce una scala molto più ampia che merita ulteriori approfondimenti.

Il teatro viene citato nel contratto tra il Comune di Trieste e la ditta a proposito della “volta”, vale a dire la copertura a arco ribassato che copre la sala, realizzata con il sistema “Melan”. A Vienna riconduce inoltre la decorazione pittorica affidata ad un allievo di Klimt, Vito Timmel, autore anche delle decorazioni per il teatro di Panzano.

C’è tutto Otto Wagner in questa sintesi di tecnica e arte, poiché nella sua “Moderne Architektur” egli si propone di dare forma alla società contemporanea che vive in un presente dominato dal progresso della tecnica.

Così per il manicomio “am Steinhof” ispirato alle teorie più avanzate in campo psichiatrico va studiata una forma architettonica capace di rendere visibile tutta la sua carica innovativa. A Trieste Braidotti opera ispirandosi a questi principi e la sua modernità si misura nella capacità di impiegare un linguaggio architettonico che se da un lato si attiene a quanto succede a Vienna e nell’impero, non rinuncia a misurarsi con la cultura della città, mettendo a frutto quelli che sono i suoi punti di eccellenza.